Schegge di vita

Duende narrativa:

Schegge di vita - Giuliana Sanvitale

15,00euro - pp. 162

"Credo che questo libro rappresenti una tappa significativa lungo quel sentiero letterario che da sempre, e giorno dopo giorno, hai scavato nel corpo del tuo tempo: fra le carte che negli anni hai pubblicate in volume, e che sovente hanno riscosso premi e riconoscimenti, s’incontra molta poesia, s’incontra un “romanzo” familiare e trafitto come Angeli, e adesso s’incontrano pure questi racconti, queste storie e scritti brevi che, a quanto posso notare, si muovono, a seconda dei casi, tra finzione ed evocazione memoriale, e che talvolta non rinunziano a proporsi in cornici fiabesche. Questa tua nuova fatica, che è una fatica, vorrei precisare, ove sono raccolte le molte fatiche di giorni sparsi e diversi, e mi riferisco al cimento e alla dedizione necessari per cogliere i vari frutti che la creatività offre ma subito sottrae a chi non accetti ogni volta la sfida e il rischio di coglierli, questa tua nuova fatica, dicevo, mi pare racchiuda tutto quanto, o meglio, tutto il tanto che del tuo impegno scrittorio ancora non si conosceva; o che, per lo meno, non si conosceva con la chiarezza con cui lo si “vede” adesso." (dalla prefazione di Simone Gambacorta)

Letture critiche (da La Copertina - ANNO XXIII - 2011 numero 4)

“ La scrittura come terapia contro la cecità del presente, la parola come catarsi”.
Così Giuliana Sanvitale, in un riuscitissimo gioco allo specchio, sentenzia nel racconto-trailer “Amore disamore” del suo immaginifico e caleidoscopico libro “Schegge di vita” decisamente connotato da forte propensione autobiografica. A dirla tutta quest’ultima fatica letteraria della Nostra  risulta essere l’emblema di quel meraviglioso mosaico che è il suo lavoro dove, come nei preziosi tessuti musivi antichi, gli attori principali e cioè il pictor imaginarius (ideatore del disegno), il pictor parietarius (colui che riportava il disegno nella sede di realizzazione), il magister tessellarius (il preparatore delle tessere musive), il magister  musivarius (il realizzatore del mosaico)  dovevano muoversi in sinergia per far trionfare nel risultato l’idea che il tutto è sicuramente più importante della somma delle sue parti; del resto come non mettere in risalto il puntuale ricorso che Guliana Sanvitale fa alla poesia per chiarire, sottolineare, impreziosire; come non evidenziare il valersi in maniera decisamente garbata dell’interruttore della memoria come stimolo inesauribile del suo raccontare  le  vicende sia della “grande Storia”che della quotidianità; come non rimarcare il suo fantasmagorico modo di far viaggiare il lettore tra crude realtà e raffinate fiction sull’onda dei ricordi “che si snodano dinanzi ai suoi occhi come una lunga sciarpa di seta”; ed infine, come non mettere l’accento sulla conclamata  valentia scrittoria di un’autrice che ha dedicato, dedica e sono certo dedicherà sempre  tutta se stessa alla celebrazione della Cultura in tutte le sue accezioni. prof. Leonardo Vecchiotti

Lo si indicava quale novelliere e tale attributo si credeva stridesse rispetto al più solenne di romanziere.
Poi è nato Pirandello, con le sue Novelle per un anno e allora quella sortale generazione di critici ha dovuto ripensarci e ammettere che nelle cosiddette novelle sono racchiuse sia l’essenza culturale sia - e quindi pregevole d’intellettualità - la rara perizia di sintesi dello scrittore.
Una proprietà di compendio, che intelligentemente non lascia spazio all’inutilità verbale e perifrastica.
Il velo che separa il novelliere, termine quattrocentesco, o novellista, questo settecentesco, o ancora bozzettista adottato negli anni Sessanta del secolo scorso, che li separa, dunque, dal poeta, è talmente trasparente che sovente il tecnicismo dell’uno e dell’altro assumono uniformità di sapienza.
Giuliana Sanvitale, con Schegge di vita,conferma la propria credibile vocazione, anzi, conduce ad aggiungere, senza tema di riflessioni, che il suo scrivere, d’immediata fruizione, appartiene all’inalienabile patrimonio dell’umanità custodito nella magnifica teca dello scibile universale. Ferruccio Gemellaro

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Intervista a Giuliana Sanvitale autrice di "Schegge di vita"
di Carina Spurio

Il tuo nuovo libro mi arriva in una calda mattina di fine ottobre. E ti ritrovo, tra le pagine di “Schegge di vita”. Mi perdo tra le tue pagine, avvolta in un clima di familiarità. Il primo racconto “Mustafà. La guerra dei poveri”, apre la porta dei miei ricordi, fissa l’immagine di un suo omonimo, anch’egli, intento a vendere biancheria sulle spiagge dell’adriatico. All’istante, ti invio un sms. Ti comunico che sono ammaliata dal tuo libro, schiava delle tue prose rapide: leggerti per pochi minuti è stato come incontrare un altro e trovare la porta di sé stessi…
Le tue parole mi confermano che l’empatia che mi auguravo di instaurare col lettore si è realizzata. “Mustafà-la guerra dei poveri” ha conquistato tanti. Non è difficile comprenderne il perché. Quest’uomo di straordinaria umanità e dignità rappresenta la nostra coscienza, ci scava dentro convincendoci a leggere in fondo, a riflettere, a ricoprire di nuovo smalto ciò che ci circonda e che non ci appartiene per diritto, ma è un dono.

Dentro “Schegge di vita” c’è una dedica: alla sensibile Carina, perché si diverta a riempire qualcuno dei miei “giri di compasso”. Con simpatia e stima Giuliana. Leggo nel foglio allegato che a te piace citare un’espressione del critico letterario Simone Gambacorta, premio Flaiano 2010 per la critica, che definisce il racconto breve “un giro di compasso”. Lo stesso Gambacorta, che ti segue da tempo, lo si ritrova nella premessa del tuo libro, intitolata: “Con altra voce. Una prefazione in forma di lettera”.
Con Simone si è instaurato nel tempo un rapporto di stima profonda e di amicizia che non gli impedisce tuttavia di conservare la sua dirittura morale e la sua ben nota professionalità. Ripete spesso che, al di là della mia scrittura, apprezza la mia umanità e il mio rispetto per la Letteratura. Sono lieta di incontrare il suo apprezzamento.

Le schegge sono corpi estranei che ti entrano nella pelle. Spesso per la loro esilità ci pungono in maniera superficiale, ma se non vengono rimosse rischiano di infettarci. Quanto è dura una rimozione affidata all’inchiostro?
Le mie Schegge sono nate tutte dall’osservazione della realtà e, prima di trasformarsi in parole, hanno subito una lunga macerazione del pensiero. Il dolore o anche solo la commozione arrivano quindi sulla pagina già somatizzate, anche se non prive di emozione.

Oggi più che mai è difficile dare l’eternità alla parola, la sua durata sembra infrangersi contro il rumore di una società confusa dalla chiacchiera e cede tra lo scadimento delle sintassi e dei linguaggi approssimativi. Consegnarsi all’altro con una scrittura chiara come la tua è un atto di coraggio?
Mettersi in discussione, aprendo agli altri il proprio animo, consegnandosi in toto, senza remore, richiede davvero tanto coraggio. Presuppone una tua pace interiore, una tua sicurezza, che non è presunzione, e deriva sempre dalla consapevolezza della propria sincerità, dalla coscienza di non vendere fumo, di riconoscere il lettore come una persona degna del tuo rispetto. Quando alla base del tuo lavoro ci sono questi presupposti, quando operi con questi sentimenti, la tua autenticità viene riconosciuta. Non so onestamente se sperare nell’eternità della Parola; quello che so con sicurezza è che sintassi e linguaggio approssimativo non vanno d’accordo con una buona pagina.

Com’è nata questa raccolta di schegge e qual è stato il tema che ha dato il via al libro?
I racconti sono stati scritti nell’arco di una decina di anni; molti erano stati premiati ai primi posti e pubblicati in riviste letterarie. Giacevano lì quasi in attesa di non essere dimenticati ed è stato proprio Simone Gambacorta a consigliarmi di pubblicarli. Sono 33 “giri di compasso”, come asserisce il nostro critico, iniziano con un racconto che parla di un africano e terminano con un racconto che richiama un’idea di Africa. I temi sono vari e, anche se a volte ho adottato una veste fiabesca o poetica per creare quell’alone di magia che ti ha affascinato, le schegge hanno scavato in profondità e ci invitano a “guardare con gli occhi dell’anima”. Forse potrei affermare che, pure in questo caso come avviene generalmente per ogni mio scritto, tutto nasce dal bisogno di trasferire sulla carta il risultato di uno scavo profondo che avviene quasi contemporaneamente in me e attorno me. Non so con precisione se sono le situazioni che mi vengono incontro o se sono io che le afferro per farle mie.

Cos’è per te scrivere: catarsi, riflessione, piacere, ribellione, narcisismo o altro?
Tutto questo tranne che narcisismo.“scrivo perché non so fare altro… vivo ormai con occhio narrativo” ha scritto Luce D’Eramo. Per me scrivere è una necessità dell’anima, una ribellione alle avversità della vita, un piacere che sfiora la sensualità ed è senza dubbio catarsi. Per i Greci scrivere era un farmaco, per Goethe veleno e medicina. In uno dei miei racconti “Amore disamore” scrivo: la scrittura come terapia contro la cecità del presente, la parola come catarsi.

Scrivi di getto o assecondi delle pause?
Da ciò che ho detto in precedenza si evince che per me la scrittura , soprattutto la poesia, è una folgorazione che si traduce in necessità di parola scritta. Quando scrivo, con pause anche di settimane o mesi, tutto però si è costruito nella mente, per cui scrivo come sotto dettatura, senza bisogno di labor limae.

A quali tue opere sei particolarmente affezionata e perché?
I figli si amano tutti in egual misura. Anche se è scontato, è difficile operare delle scelte. Considero infatti i miei libri figli di carta e come tali cerco di essere “buona” con tutti loro, anche perché, come bravi bambini, si sono comportati bene, arrivando al cuore dei lettori e dei critici e sostenendomi nei momenti bui con la loro presenza. “Angeli” tuttavia è un caso a parte. E’ rabbia, dolore, confessione, pianto, scavo, ricerca d’identità, liberazione, pace, perdono e ancora pianto, sfida, ribellione, ritrovamento, ritorno.“Angeli” è stata la mia conquista più significativa, la mia pagina più bella, quella in cui le parole si cercavano da sole e si ordinavano secondo un disegno tratteggiato dai miei angeli.

In che modo si organizza Giuliana madre e moglie durante la stesura di poesie e racconti?
Scrivo soltanto quando ho veramente qualcosa da dire o meglio da comunicare. L’arte in genere è qualcosa che si vive in solitudine,ma che poi va comunicata, donata. Quando scrivo, avendo già tutto organizzato mentalmente, sono veloce. Ho quindi tempo per fare la moglie, la madre, la nonna che attualmente è la cosa che più mi prende. Leggo anche molto e dedico parecchio tempo a coltivare il rapporto con familiari ed amici. Senza colloquio, per me, non si va da nessuna parte.

Qual è il tuo rapporto con la fede?
Oggi è una domanda difficile questa tua. Mi piacerebbe molto poterti rispondere che credo fermamente, ma spesso sono piena di dubbi. Sempre che tu ti riferisca alla fede cristiana, alla fede in Dio. Ad essere onesta, lo sento troppo in alto o io mi sento troppo inadeguata, troppo piccola per l’immensa epifania della fede. Credo tuttavia nell’Uomo, nella Natura, in Gesù e nel suo insegnamento. Credo nella civiltà dell’arte. Non so se è una contraddizione, ma mi sento ricca di spiritualità.

“Angeli”, il libro in cui racconti la storia di tuo padre, un militare morto per rappresaglia, donava una bella immagine di donna che si guarda dentro per colmare il vuoto di un’assenza. Tra molteplici temi incorniciati (a volte) dalla poesia, ritorni con “Schegge di vita” e affronti: l’adozione, il razzismo, l’emigrazione, la memoria, l’amore, il sociale e il dolore. Cosa ci riserverà in futuro la tua penna?
Ho molto lavoro pronto per essere editato: un romanzo e un centinaio di poesie da organizzare penso in due temi che semplicisticamente potrei definire Io e le parole e Io e il mare. Penso che a breve uscirà il romanzo “Rosa” che ha ceduto il passo ad Angeli per un’esigenza etica.

Quale libro stai leggendo?
Leggo decisamente tanto, più di quanto scrivo. Spesso sono saggi o comunque libri di letteratura da cui impari sempre. Li intervallo con libri più lievi, ma non meno belli, come “Il peso della farfalla “ e “I pesci non chiudono gli occhi”di Erri De Luca, “Emmaus” e “Mr Gwyn” di Alessandro Baricco. Da poco ho letto “La sottomissione delle parole” di Gianrico Carofiglio e ho pronto il suo ultimo “Il silenzio dell’Onda”. Leggo pure molta poesia e non solo poeti italiani. Torno spesso - la poesia va riletta sino all’esasperazione finchè la sua musica non ti penetra – “Poesia dal silenzio” di Tomas Transtromer. Tra un libro e l’altro porto avanti la lettura di “Alfabeto” di Claudio Magris, una serie di saggi sulla Letteratura che mi appassiona ed arricchisce oltremodo.

Qual è il tuo rapporto con l’Abruzzo?
Sono nata a Giulianova per caso, unica della mia famiglia, da padre ortonese e madre piemontese ma di origine umbra. Ho studiato in collegio in Romagna e poi a Urbino perciò ho avuto poco tempo e scarsi appigli per sentirmi abruzzese. Col trascorrere degli anni, precisamente da quando ho iniziato le ricerche sulla mia famiglia, ho scoperto parenti abruzzesi ed ho cominciato ad amare questa terra e a recepire che essa era anche altro oltre Giulianova. La mia cittadina l’amavo di diritto, mi sentivo legata da un patto di sangue. Il resto era una delle regioni d’Italia. Poi è avvenuto l’incontro ed ora ne sto scoprendo anche la lingua, oltre alle usanze. In casa mia non si è mai parlato il dialetto , ora lo sto scoprendo e trovo che sia quanto mai calzante e spesso mi scopro ad appuntare qualche espressione, qualche termine particolare. Anche in questa mia conquista sto operando un “ritorno”, mi sto riappropriando di qualcosa che era mio e di cui io ero parte. Inutile aggiungere che la scrittura è un “laccio d’amore” indissolubile.