Rosa

Duende narrativa:

Rosa - Giuliana Sanvitale

14,00euro - pp. 218

"Rosa" vince il Secondo Premio al Premio Internazionale Poetico-Musicale " Basilea 2013".

C’è tutto un mondo dietro il volto di Rosa, la protagonista di questo romanzo di Giuliana Sanvitale: l’amo re e la morte, la perdita con i suoi precipizi e i suoi silenzi, le notti lunghe e le aurore dei ricominciamenti, e poi ancora le traiettorie della femminilità e quelle degli affetti più intimi. Sono le onde della ragione e del sentimento a muovere questo mare di viva e sussurrata umanità, dove soffiano tenui e mai flebili parole. Ne deriva, per il lettore, il piacere d’abbando narsi a un racconto che chiama a raccolta i temi prediletti della Sanvitale, e dove tornano a proporsi le diverse luminosità e i diversi colori con cui l’autrice dà voce alle sue storie. Le schegge della vita possono ferire ogni angelo, ma è forse nascosto nei sogni inventati per gli altri il motivo per cui in ogni vulnerabilità può celarsi un grano di poesia. Simone Gambacorta

Rosa aveva alzato gli occhi, incontrando quelli di lui. Vi si era persa, annegata in un mare di sentimenti contrastanti: la scoperta si era frammista alla gioia, alla sorpresa, all’incredulità. E aveva riso, prima impercettibilmente, poi apertamente, con schiettezza, senza alcuna reticenza, come se tutto fosse in attesa nell’aria, come se già fosse stata d’accordo col giovane, che nel frattempo aveva ripreso il lavoro, tranquillo, sicuro di sé, perché lei gli aveva risposto lì, davanti a tutti, con la sua risata. Non erano state necessarie altre parole, tutto era stato chiaro già al primo sguardo.

Esegesi di Leonardo Vecchiotti
“Rosa”, l’ultima fatica letteraria di Giuliana Sanvitale, è da considerarsi a tutti gli effetti un romanzo crudamente realistico. Il suo radicamento negli strati più profondi dell’identità culturale di una terra, intenzionalmente non ben identificata, dove i cambiamenti repentini vengono inquadrati tra gli eventi da esorcizzare a tutti i costi in quanto forieri o di sciagure non sempre ben precisate o, quanto meno, di conseguenze imprevedibili e, dunque, difficilmente giustificabili alla luce delle regole consacrate dalla tradizione, risulta essere il canovaccio ideale per rivisitare, con occhi volutamente disincantati, la qualità dell’esistenza al femminile costantemente altalenante tra le mai sopite esigenze di riscatto sociale e l’obbedienza, il più delle volte forzata, ai dettami derivati dall’esperienza delle passate generazioni. Il perno, su cui ruota l’appassionante racconto della Sanvitale, è “Rosa” una donna caparbiamente legata alle sue convinzioni ma, se la necessità lo richiede, anche pronta a metamorfosi impensabili, oppure una protagonista forte del suo innato abbarbicarsi contemporaneamente a tante realtà ,o, meglio ancora, la paladina intelligente del suo prezioso adattarsi ai vari ruoli di una stessa vita e, finanche, di uno stesso unico giorno; la prosa è scorrevole, fresca, coinvolgente ed, in particolare, apportatrice di impagabili sensazioni. A coronamento di queste mie brevi riflessioni mi corre l’obbligo di sottolineare che le fondamenta su cui poggiava il celebre refrain “L a donna è mobile qual piuma al vento…” di storica e, in qualche maniera, “maschilistica memoria”, risultano alla prova dei fatti di ben altra sostanza di quelle che una frettolosa e suadente lettura musicata avrebbe voluto far credere , tesi del resto decisamente caldeggiata anche dalla stessa Sanvitale nella chiusa del suo libro: “ Le lacrime sono acqua salata che sciupano il viso” si disse(Rosa) “ anche quelle che esprimono gioia. Le donne della mia famiglia non piangono. “Si rassettò i capelli fluenti e uscì (ancora una volta) incontro alla vita. Insomma alla base del mondo delle “Rose”, sfornate dalla quotidianità a getto continuo, c’è la forza del sentirsi costantemente nomadi, cioè in grado di farsi seguire dalle proprie radici aeree e quindi capaci di interpretare, sicuramente al meglio, qualsivoglia realtà il destino, nella sua immensa bizzarria, voglia loro proporre.

Rosa
Romanzo di Giuliana Sanvitale
Marchio Duende della Galaad Edizioni 2012
Esegesi di Ferruccio Gemmellaro

Un che di familiarità mi ha colto già nello scorrere il primo capitolo, addirittura dal capoverso d’incigno. È l’immagine di una zia, forse la mia, o l’immagine di una madre, sicuramente la mia. Tutte attorniate da tradizionali deduzioni di fatalità, dalle quali, però, mai vollero essere soggiogate. In loro, infatti, risuonava quell’inusuale spirito, quale deus ex machina, che avrebbe mosso i disegni delle donne in seno al nuovo millennio. Creature che finalmente sarebbero andate a recuperare la balsamica bambagia lirica, dove adagiare ogni accadimento, ma che era andata a stemperarsi nelle passate generazioni, attraverso il dedalo delle ricerche di un’esausta persuasione occulta.
Ho riconosciuto, allora, d’essere al cospetto di una sequenza di fotogrammi che mai erano stati abrasi dalla mia memoria, piuttosto contenuti nelle cellule dell’inconscio. La poesia ne è dunque la colonna sonora, e non solo quale psicoterapia adottata dai personaggi \...\ si avvicinò alla madre e si chinò sulla pagina. Conosceva anche lei quella poesia e si mise a recitarla con lei \...\ viepiù la s’incontra nel logismo d’autrice, quasi a voler implicare la propria appartenenza a essi. Fotogrammi, infatti, allineati poeticamente all’interno del racconto di questa fervida e coerente narratrice e poetessa \...\ ne rivedeva vagamente il sembiante, ma ricordava la sua voce con una nitidezza sconcertante \...\ Un’inusuale spirito che suggerisce a Rosa di sbrigliarsi dalle convenzioni ma che ancora si diluisce ai soffi dei prevalenti modelli famigliari \...\ i fratelli erano maschi, si sa, e non lasciavano trapelare i sentimenti \..\ e Rosa… aveva preferito tornarsene in famiglia a imparare dalla madre il mestiere di donna \...\ L’identica convenzionalità che la guida, dunque, nel reggere il dialogo con la figlia, la madre, la suocera, le amiche, alitata però, e questa è la modernità di Rosa, da uno spontaneo comportamento in libertà, giammai imposto, quindi suo, solamente suo, benché \...\ da parte di Rosa era stato sicuramente faticoso tornare alla antiche consuetudini \...\ Uno spontaneo comportamento di libertà che sgorga prorompente dalla propria psiche, tale da intimidirla quasi come se fosse colta da dissociazione. Dissociazione generazionale che il testo di Sanvitale vuole evidenziare, insistendo però sulla connaturale cautela degli attori, tale che il lettore si ritrova a centellinarlo con gusto.
La scoperta in sé, infine, generata in seno alla fatica di aver troppo e vanamente indugiato nell’aprirsi alla vita, perché timorosa di giudizi della gente; luogo questo che la sua indole avrebbe considerato comune ma da esso avvinta immediatamente alla morte del suo Pino. “La maledizione di noi donne – e qui vado a parafrasare un personaggio di Dacia Maraini – è di sopravvivere ai nostri uomini”. La rassegnazione di Rosa, in realtà, non è il fatto congenito delle donne del sud, che fanno della loro esistenza l’eco dei luttuosi accadimenti passati; invero è la rassegnazione di scelta al diritto di riemergere alla vita senza mai rinnegare però i drammi e le tragedie che aveva dovuto subire, gli affetti e gli amori conclusi. Straordinario è che trova complicità finanche da parte della suocera, la quale, nel rispetto delle avite convenzioni, avrebbe dovuto invece porsi in contrapposizione alla scelta di Rosa.
Un romanzo, quindi, solo apparentemente connesso con gli irriducibili costumi delle donne del sud. I capitoli, invero, risuonano di quello incedere del tempo che non ha mai tradito l’evoluzione umana, qui in pretto riferimento al mondo femminile. La sintesi di quanto appena esposto è certamente in questa proposizione \...\ Né avrebbe immaginato che tutto sarebbe stato così naturale, così spontaneo, qualcosa di antico come il mondo e al contempo del tutto nuovo \...\ Le pagine, infine, scorrono alimentate da un fluido tecnicismo linguistico, che avvincono il lettore e capaci esse di infondergli la certezza delle giuste ragioni di Rosa, per questo nobilitandolo fruitore.